10 maggio 2021 – La Stampa
Matteo Giusti
Lo avevano già capito gli antichi romani: quanto più il gruppo è compatto, tanto più si ottengono risultati. Lo hanno capito anche i sindaci dei territori impegnati nell’ambito della Strategia nazionale per le aree interne, che hanno scelto di fare fronte compatto per affrontare un problema complesso come l’inesorabile abbandono delle aree interne del nostro Paese. Del resto ad un’impresa di tale portata, non poteva che corrispondere una politica pubblica con una strategia di sviluppo ampia, articolata e di per sé complessa da gestire, visto anche l’impoverimento occupazionale delle amministrazioni locali.
Ad una situazione già in origine complicata, si è aggiunta l’emergenza pandemica che ha inferto un altro colpo alla tenuta sanitaria, oltreché economico-occupazionale delle aree fragili del Paese. Eppure la scelta di camminare insieme, coraggiosamente messa in campo da centinaia di sindaci di questa parte d’Italia, ha sortito risvolti positivi persino in era Covid, arrivando in certi casi a fare “scuola” alle grandi città, soprattutto sul versante sanitario con originali vie alternative all’ospedalizzazione e la medicina di prossimità.
Dunque, in questo contesto, come si sono organizzati i piccoli Comuni per affrontare l’impresa e far fronte ad un sistema tanto articolato come la Strategia nazionale per le aree interne? Quali i punti di forza e di debolezza nelle capacità organizzative dei territori interessati? Lo svela un’analisi (LINK) realizzata nell’ambito del progetto coordinato da Clelia Fusco a supporto della SNAI, “La Strategia Nazionale per le Aree Interne e i nuovi assetti istituzionali”, promossa dal Dipartimento della Funzione Pubblica, di cui Formez PA è attuatore nell’ambito del Pon Governance e Capacità istituzionale 2014-2020. Nel report vengono approfondite le modalità con cui è stata affrontata dalle amministrazioni comunali delle aree interne la sfida della realizzazione della loro strategia, oltre all’attuazione dei tanti progetti di sviluppo individuati e pianificati.
Non solo. L’approccio “associazionismo” ha altri effetti collaterali altrettanto importanti, come il potenziamento della coesione territoriale di non poco conto: non per nulla “ragionare e lavorare insieme è il primo valore aggiunto da SNAI” per usare le parole di uno dei sindaci dei piccoli Comuni impegnati nella difficile impresa.
Appare evidente che ad una capacità di “elaborazione strategica”, occorre associare una capacità di “realizzazione strategica”. L’ovvia complessità e mutevolezza del percorso attuativo della Strategia per il rilancio di questi territori ha infatti portato, nel tempo, i sistemi intercomunali più maturi a sviluppare strutture di governance che hanno saputo coniugare gli aspetti di rappresentatività politico-istituzionale, intesa come capacità di coinvolgimento degli attori comunali nei processi decisionali e di indirizzo e di coordinamento tecnico-operativo. Tale organizzazione non solo ha consentito alle aree di garantire unitarietà di azione e tenuta della visione strategica, ma ha anche favorito la creazione di centri di competenza locale che affrontano le criticità, studiano soluzioni comuni e ampliano i campi di intervento, guardando oltre gli interventi individuati nell’ambito della strategia d’area.
Se si volesse sintetizzare l’esito di quanto visto sul campo, si potrebbe dire che nella grande maggioranza dei casi il processo di sviluppo dei sistemi intercomunali è andato oltre le aspettative, secondo rapidi percorsi di adattamento alle mutate condizioni di partenza e alla necessità di far fronte all’emergenza sanitaria del Paese. Un dato sorprendente, un laboratorio di organizzazione dell’attuazione, cassetta degli attrezzi di cui far tesoro anche in vista della prossima programmazione dei Fondi Ue.